lunedì 11 dicembre 2017

INTERVISTA A DIRCE SCARPELLO



Ciao Dirce, benvenuta nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te. 

Sono una ‘ragazza’ di 52 anni, vivo in una città di mare, Bari, ma un po’ in periferia, dove c’è ancora il sapore del borgo, con le barche e i pescatori ma anche le passeggiate sul molo per far passare la calura. Non saprei vedermi a lungo lontano dal mare. Lavoro con l’estero, importo mobili: l’azienda è a conduzione familiare sicché non stacco mai. Salgo e scendo la scala tra ufficio e casa e quindi un po’ come Brachetti, mi trasformo continuamente da imprenditrice a mamma/moglie/capo branco umana dei miei due cani, rigorosamente puri meticci, un similvolpino e un similpastore.  I figli sono grandi, dovrei avere più tempo ma in realtà continuo a riempirmi di impegni e di nuove amicizie.  Le mie passioni sono indubbiamente la lettura e la scrittura ma anche le amicizie, come dicevo sono importantissime: attraverso i social ho ritrovato tante persone del  mio passato che avevo perso di vista e adesso la mia vita è molto più piena. In realtà ho anche  incontrato nuova gente interessante  negli ultimi anni: è un po’ come se la maturità rendesse l’amicizia più selettiva e perciò stesso più solida.

La laurea in Giurisprudenza, insegnante e imprenditrice. Quando si è accesa in te la scintilla per scrivere, e dove trovi il tempo per dedicartici?

 
La scintilla è sorta tardi, verso i quarant’anni. Più che altro scrivevo da ragazza ma non avevo molta consapevolezza delle reali potenzialità della cosa: dovete immaginare un mondo non social, dove il letterato, l’intellettuale era un mostro sacro inarrivabile, dove non si parlava di prodotto editoriale. La Puglia poi era periferia, e lo è tuttora. I nostri scrittori - molti e talentuosi, soprattutto negli ultimi vent’anni - sono per lo più andati a vivere fuori regione, a Roma, Milano o Torino che sono gli unici luoghi dove, forse, è possibile arrivare alle grandi case editrici. 
Scrivo nei ritagli di tempo ma cerco comunque di farlo con regolarità, se sono nel pieno di un lavoro tiro tardi la notte.

Sei stata ballerina per il Balletto del Sole di Bari. Cosa ricordi di questa esperienza? 

La danza è stata la mia vita e la mia passione molto a lungo, dai dieci fino ai 24 anni. La famiglia premeva per una laurea convenzionale, il fidanzato storico per il matrimonio. L’ho lasciata più o meno di punto in bianco, come si fa con un fidanzato. E come per un amore da dimenticare, purtroppo, ho rimosso. Ora ho ritrovato amici e compagni di strada di quel periodo, la maggior parte ha continuato a vivere e a lavorare in quell’ambiente. Un grosso rimpianto e rammarico l’aver abbandonato così, in malo modo.

Collabori con il lit-blog Logokrisia. Di cosa si occupa nello specifico?

Il blog è nato due anni fa da un’idea di Rosanna Santoro, scrittrice, poetessa anzi dovrei dire donna abitata dalla poesia. Siamo donne molto diverse le une dalle altre e il blog ci consente di esprimerci al meglio con i nostri pezzi che vanno dai racconti di donne alle recensioni, dalle riflessioni fuori dal coro alle denunce delle ingiustizie e delle prevaricazioni, anche e soprattutto di genere, quasi sempre con la modalità del racconto. Dalla poesia e dal ritratto dei poeti e dei luoghi-  i paesaggi-  della poesia,  alla messa a nudo dei nostri difetti come donne e nel rapporto con gli uomini, e degli uomini, molto spesso con una buona dose di ironia. Ma soprattutto è un luogo in cui riusciamo a fare squadra e a sostenerci le une con le altre. Ognuna con la sua competenza e sensibilità nel mondo della scrittura, lascia nel blog una parte di sé, del suo tempo, dei suoi pensieri. Siamo ripagate da un pubblico altrettanto sensibile e affezionato.

Esordisci nel 2010 con “Angulus ridet”. Di cosa si tratta?

Una storia con una buona dose di autobiografia,  soprattutto nella psicologia dei personaggi, com’è regola o quasi negli esordi, calata in una trama complessa in cui non mancano aspetti di giallo. Alla base sempre l’amore ma quello mal riposto, che affida il nostro cuore alle persone sbagliate e spesso ci fa precipitare dalla padella nella brace. Particolarmente cara l’ambientazione, una masseria della mia Puglia, nell’alto Salento. Un titolo difficile, che oggi, se dovessi riscrivere il romanzo, trasformerei in L’Amore mal riposto, appunto.  E cambierei anche alcune cose della trama, sono una perfezionista e nulla mi soddisfa mai abbastanza.

Hai partecipato a diversi concorsi con i tuoi racconti, ottenendo premi e la pubblicazioni in antologie. Servono i concorsi letterari?

In questa fase della mia produzione ti dico di no. All’inizio credi che ti servano per farti conoscere ma alla fine servono solo alle giurie per la quota d’iscrizione. I premi sono tantissimi e pochi realmente qualificanti. Quelli al top, sono pilotati. C’est la vie.

Uno dei tuoi racconti “Desirè66” è stato oggetto di rappresentazione teatrale. Parlacene.

Un concorso in cui si vinceva solo questo, che un proprio racconto diventasse un monologo teatrale. Un personaggio al limite, una grande obesa immobile nel suo letto-trono e un finale molto noir. 
Nel 2012 il progetto Black Room di Creatheater di Milano selezionò quattro racconti per serata, ispirati ognuno a un vizio capitale, nel mio caso la Gola. Peccato non aver assisto alla rappresentazione. 

Nel 2016, pubblichi “L’attrazione dei talenti”. Cosa troveranno i lettori al suo interno?

Troveranno la storia di due donne molto diverse, Albana una giovane prostituta albanese che proviene da un paesino molto povero dell’Albania faticosamente avviata verso la democrazia e l’Occidente, e  Gioia, una fotografa salentina.  Entrambe hanno un debito verso il loro talento - l’albanese è una disegnatrice bravissima pressoché autodidatta – che per motivi molto diversi hanno dovuto accantonare. Entrambe hanno subito una violenza. Entrambe hanno bisogno di credere in se stesse senza l’intervento di un principe azzurro.


http://www.lesflaneursedizioni.it/negozio/narrativa/bohemien/lattrazione-dei-talenti



Quale messaggio vuoi trasmettere e quali tematiche affronti?

Le tematiche sono la ricerca del proprio talento come senso della vita, la sofferenza delle donne rispetto alla violenza maschile che è trasversale a tutte le culture, il riscatto dalla propria condizione con l’aiuto delle altre donne, nel desiderio che ci possa essere tra noi davvero un senso di sorellanza. Parlo anche della  crisi della famiglia, dei problemi degli adolescenti che spesso hanno materialmente tutto ma non un adulto che sia in grado di ascoltarli veramente e che li aiuti a trovare il loro, di talento.  Per me, però,  il talento non è da intendersi necessariamente come la predisposizione geniale per un’arte, ma come quella disposizione verso questa o quella attività umana, che sia un’arte o una professione, un mestiere che ci da singolarmente l’intima sensazione di esserci dedicati a quello per cui siamo nati nella vita. Che sia la musica o la cucina, il disegno o, come dice Gioia di suo marito Giacomo che è un ginecologo, far nascere i bambini. 
L’altro messaggio, parlando di Albania e di migrazioni, è anche il nuovo senso che dobbiamo dare alle nostre radici. Dobbiamo essere disposti a far pace con le nostre radici, col nostro passato e a trovare, se necessario la radice in noi stessi, in quello che siamo diventati nel corso della nostra vita, per dare nuovi frutti, come l’innesto di una nuova varietà in un vecchio albero. 

Qual è stato l’input per questo romanzo?

L’aver conosciuto in Albania nel 2005 una bambina albanese che viveva davvero in condizioni di estrema arretratezza eppure in una qualche sintonia con la sua vita di campagna. Però pensare che non avesse il bagno, o l’acqua corrente, che la sua famiglia facesse il bucato con la cenere in grandi tinozze nell’aia o che per andare a scuola dovesse affidarsi a un pulmino scalcagnato o alla mula del nonno,  mi ha fatto porre questa domanda: se quella bambina avesse avuto in sé il germe di un qualche talento, uno qualsiasi, avrebbe mai potuto coltivarlo? Quanti talenti o addirittura geni in potenza non hanno mai visto la luce? Quale la ribellione possibile a una vita patriarcale? Naturalmente, come si vede dalle pagine del romanzo, io amo l’Albania, ne ho studiato la storia, i costumi del passato e ho raccolto storie e testimonianze del passato più recente. Ho studiato le tematiche delle migrazioni, l’Albanese è la prima grande migrazione in Italia, nel periodo in cui sono cadute le dittature comuniste , penso alla Polonia, alla Romania come alla caduta del muro di Berlino. Non dimentichiamo che a Bari il 7 agosto  1991 arrivarono, stremati, affamati e disperati circa 20.000 albanesi. Eravamo tutti stupefatti. Venivano dalla spiaggia di fronte, a poche ore di navigazione. Noi non avevamo idea di quelle che fossero le loro condizioni in Albania. Loro ci avevano guardato di nascosto attraverso la TV, ed eravamo la loro Terra Promessa.  Il romanzo si chiude così, con questo ricordo.

Nel 2017 esce “La Saponificatrice” con Delos Digitale e, sempre con questa CE, pubblichi sotto pseudonimo racconti erotici. Perché lo pseudonimo?

"La Saponificatrice" mi ha tenuto sveglia per circa due anni. Il racconto non è molto lungo ma ho davvero letto e visto di tutto sulla Cianciulli per arrivare a scriverne da un punto di vista che credo sia originale. La mia anima noir si è voluta cimentare con una storia vera, una serial killer, il primo processo mediatico della storia, nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Ho cercato di pensare, parlare, ragionare come lei. E di descrivere quel rapporto costante che lei aveva con la Morte che le aveva tolto ben 13 figli, che lei aveva cercato anche per se stessa e che aveva così freddamente e con lucido (folle?) calcolo procurato a tre donne sole, totalmente in preda alla sua rozza ma efficace capacità manipolatoria.
Per i racconti erotici lo pseudonimo mi rende più libera di lasciarmi andare alla fantasia: l’eros per me è intrigante e affascinante come un noir. Entrambi parlano alla parte più viscerale di noi e suscitano emozioni forti, di entrambi mi interessano le sfumature psicologiche non il mero atto sessuale o omicidiario. A ben vedere riguardano entrambi il corpo e si consumano sul corpo. Gli omicidi hanno molto spesso una motivazione sessuale, oppure di dominio e di controllo. Anche quelli commessi per denaro hanno come fine ultimo il senso di piacere che il possederlo procura. Quindi, a ben vedere, i due mondi hanno abbastanza in comune. Lo pseudonimo mi è sembrato necessario anche per altri due motivi: le lettrici di erotico spesso prediligono i nomi esteri e poi  le case editrici tendono ad etichettarti con quella produzione, sicché quando  vuoi tentare altri generi,  si unisce anche questa difficoltà alle innumerevoli altre che si incontrano quando si vuol  pubblicare.

Ti sei addentrata anche nella poesia con la silloge “E non m’ami più è invece. Perché la poesia?

Perché è più immediata e musicale ma al tempo stesso più essenziale. Perché mi piace pensare che siamo immersi nella poesia e dobbiamo solo fare un po’ di sforzo per ritracciarla nelle giornate difficili, in quelle solitarie, quando scrivere un verso significa parlare a quella parte di te che vuol essere compresa e consolata ma anche creare un ponte con tutti coloro che chissà come e quando, leggendo i tuoi versi si riconosceranno. 

Sempre nel 2017, esce anche “Aloe Vera” in self-publishing. Qual è il tuo pensiero sul self?

Davvero è stato un piccolo esperimento. Per la mia esperienza di lettrice è indubbiamente vero che orientarsi nella giungla del self è difficile. Molte cose sono scritte male ma vanno avanti perché c’è una claque di lettrici e followers dell’autrice. Però è anche altrettanto vero che non tutto ciò che esce con una casa editrice è esente da errori , a volte davvero troppo evidenti e poco professionali. Sebbene dia molta libertà, non credo però che il self sarà mai la mia scelta preferita. Per il cartaceo poi trovo fondamentale collaborare con l’editore che ti aiuta a farti conoscere, ti organizza parecchie presentazioni, ti presenta librai e altri autori con cui fare squadra e magari crescere insieme.  Questa è la ‘famiglia’ Les Flaneurs, il mio editore. 

Progetti in cantiere?

Un lavoro a quattro mani, con un’altra autrice Les Flaneurs, appunto, su storie di DCA. Dovrebbe intitolarsi "Piume in gabbia". E il mio racconto "Il primo pensiero del mattino".  Sto per consegnarlo all’editore. Il tema dei disturbi alimentari mi riguarda personalmente e riguarda tutte le diverse donne che sono stata nella mia vita in relazione al peso e al rapporto col cibo e con me stessa. Anita (l’anoressica) e Tania( l’obesa con episodi binge) sono due sorelle, “due opposti paradigmi Anita e Tania, un anagramma della stessa materia, il dolore.”. Spero di riuscire a portarlo nelle scuole, a parlarne con gli adolescenti. Abbiamo questo dovere, loro sono figli che ci hanno visto oscillare tra gli opposti, noi, forse, non siamo mai guarite.

È stato un piacere ospitarti nel mio blog. In bocca al lupo!

Per seguire Dirce Scarpello  DIRCE SCARPELLO



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