mercoledì 27 luglio 2016

Quel libro nel cassetto - PICCOLO PRONTUARIO SUL REGENCY secondo VIVIANA GIORGI

Eccoci arrivati al nostro appuntamento mensile con #quellibronelcassetto, rubrica dedicata ai consigli agli autori.
Oggi torna a trovarmi Viviana Giorgi, autrice e Ospite Speciale, e lo fa in occasione dell'approfondimento relativo alle AMBIENTAZIONI.
Viviana vanta una quindicina di pubblicazioni tra romanzi e racconti con Emma Books e Mondolibri; ha esordito nel 2012 con Bang Bang - Tutta colpa del gatto rosso, sostenitrice del "lieto fine" e socia fondatrice dell'associazione EWWA, è un'autrice che predilige "eroine decise ma un po’ imbranate e non certo sofisticate" ed "eroi gloriosamente da sballo".
Perchè come dice sempre Viviana "Se si deve sognare , melio farlo alla grande!"




Con Viviana abbiamo affrontato già l'Epoca Vittoriana e, oggi, torna a trovarci per farci conoscere una dei periodi storici più affascinanti e gettonati: IL REGENCY.
Chi non ha letto almeno una volta Jane Austen o Georgette Heyer? Chi non rammenta il periodo che ebbe come esponenti Grandi Artisti come Shelley, Sir Walter Scott, Bethooven, Rossini e Paganini, per citarne qulcuno.
Ma come affrontare il Regency? Come inserirlo nei nostri romanzi, creando un'ambientazione ad hoc? Ce lo spiega Viviana in un interessantissimo approfondimento da custodire gelosamente.
Armatevi di penna e prendete appunti perchè ne varrà la pena!


PICCOLO PRONTUARIO SUL REGENCY 


 

Quello che segue è un mio piccolo prontuario sul Regency, per forza di cose incompleto. Ma spero che potrà essere di aiuto a chi vorrà provare a cimentarsi nel genere. Naturalmente, dopo aver letto una buona dose di romanzi!
Perché un periodo storicamente così breve ha dato il via a una produzione tanto fortunata e prolifica che non cenna a esaurirsi?

Qualcuno ha forse risposto perché è stato il periodo in cui Jane Austen ha pubblicato i suoi romanzi? Sbagliato! Certo senza Orgoglio e Pregiudizio o Ragione e Sentimento o Emma il genere non sarebbe forse mai nato, anche se Jane Austen non scriveva Regency, ma contemporanei. Il regency è nato più di cento anni dopo la sua morte.
Georgette Heyer. Chi ha inventato il genere, di cui si sono festeggiati gli 80 anni l’anno scorso, è Georgette Heyer che nel 1935 pubblicava la capostipite della regency novel, Regency Buck, aprendo la strada ad autrici come Barbara Cartland, prima, e Mary Balogh (più tardi). Ciò che la Heyer, a quel tempo già famosa per i suoi storici e i suoi gialli, descriveva per la prima volta era un’isola felice, in guerra certo (contro Napoleone), ma ciononostante indifferente alla guerra, popolata solo da aristocratici, più o meno  decaduti, le cui uniche preoccupazioni sembravano essere in sintonia con quelle del Reggente, ovvero quelle legate alla mondanità (balli, feste, divertimenti, corse a cavallo e in phaeton ), qualche volta all’arte e, soprattutto, al mercato del matrimonio.

I generi del regency. Georgette Heyer, con le sue novels of manners (commedie di maniera), dà vita al regency tradizionale, un genere raffinato sia per quel concerne la scrittura, che si rifà volutamente a quella della Austen, sia per l’accurata ricostruzione storica e sociale (e la totale mancanza di sesso, ma non di dialoghi brillanti, tra i due protagonisti). Il regency a cui noi siamo più abituati (e che comunque discende dalla Heyer) è quello che nasce negli Stati Uniti intorno agli anni ’70 e che viene definito regency historical. Pur essendo ambientato nello stesso periodo e negli stessi luoghi del regency tradizionale, punta più sul plot che sul background storico (a volte miseramente descritto), si adegua a un linguaggio decisamente moderno e a comportamenti che attingono più alla realtà di oggi che a quella di allora. La storia d’amore, infine, raggiunge connotazioni sessuali che possono essere molto esplicite (e spesso per nulla in sintonia col periodo: per evitare di avere a che fare con eroine vergini e imbranate a letto, molte autrici hanno preferito affidarsi alle mistress – amanti mantenute – e più ancora alle vedove: meno problemi tra le lenzuola!).

1) Per scrivere un Regency, bisogna conoscere molto bene il periodo storico di riferimento (così come per qualsiasi altro romanzo storico).
Il Regency è così popolare che qualcuno potrebbe illudersi di avere già in mano tutti gli strumenti per poterlo scrivere sulla base di qualche romanzo letto. Sbagliatissimo! Anche se abbiamo letto la Quinn, la Chase o la Balogh, per non parlare della Heyer, anche se sappiamo cos’è Rotten Row o come si fa una riverenza, togliamoci dalla testa di possedere gli strumenti adatti per metterci all’opera. Sì sì, anche se è solo un romance.
Incominciamo col ripassare un po’ di storia. Con Reggenza ci si riferisce in modo specifico al periodo (1811-1820) durante il quale, a causa dei problemi mentali di Giorgio III (malato di porfiria), il Regno di Gran Bretagna fu affidato al Principe di Galles che regnò prima come Principe Reggente e poi, alla morte del padre, avvenuta nel 1820, come Re Giorgio IV.
In realtà, con il passare degli anni e il crescere del successo, i tempi del Regency inteso come genere si sono alquanto allungati sino a coprire un arco temporale che va dai primi anni del XIX secolo sino a circa il 1830, anno della morte di Giorgio IV, per allungarsi ancora sino al 1837, anno della morte del suo successore, William IV, suo fratello minore, e dell’ascesa al trono di sua nipote Vittoria.
Prima del regency ci troviamo nel periodo Georgiano.
Dopo il Regency (inteso nella sua accezione allungata) nel primo periodo Vittoriano.
Il Reggente (Prinny). A proposito del reggente, sappiate che aveva una pessima reputazione, e non solo tra il popolo, ma anche presso lo stesso Liverpool, il primo ministro di allora, e il suo governo. Era uomo dedito agli eccessi e spendeva più di quanto prevedesse il suo appannaggio governativo. Come? In feste ridondanti o per costruire nuovi edifici, da alcuni considerati troppo sfarzosi e inutili (come il bizzarro Brighton Pavillon o Carlton House a Londra). Prinny fece costruire e dedicò a se stesso Regent’s Park e Regent’s Street e, a dire il vero, favorì lo sviluppo del nuovo elegante assetto architettonico di Londra, guidato dall’architetto John Nash. Fu anche mecenate di arte e letteratura, che in quel periodo rifiorirono. Ma la sua passione per l’eccesso, per il cibo che lo rese obeso e per gli abiti stravaganti in cui si pavoneggiava lo posero spesso in cattiva luce davanti al popolo e non solo. Jane Austen, a cui il Reggente impose di dedicargli Emma, lo detestava.

2) Per scrivere un regency bisogna conoscere il ton e la season. Non importa che la storia si svolga a Londra (nelle town house che si aprono per la stagione), in campagna (nelle residenze nobiliari che ospitano i famosi Country House Parties che la Balogh descrive mirabilmente) o in riva al mare (Bath, Brighton); al centro della regency novel c’è sempre il ton (da bon ton), un mondo popolato per lo più da conti, marchesi e duchi - spesso libertini e sprezzanti, magari senza un soldo e refrattari al matrimonio - e da giovanissime gentildonne (ovviamente illibate) in cerca, oltre che di un marito, di un happy ending da favola (anche se, è bene sottolinearlo, in quei tempi i matrimoni di convenienza erano ben più comuni di quelli d’amore). Una giovane aristocratica, dopo l’eventuale presentazione a Corte, che avveniva di solito intorno ai diciassette anni, diventava una debuttante ed era ufficialmente carne per il mercato del matrimonio. E se, povera lei, dopo un paio di stagioni passate a cercare marito rimaneva senza pretendenti (molto spesso a causa una dote non golosa),  era facile che il suo stato passasse senza alcuna misericordia da debuttante a quello meno entusiasmante di zitella. All’età di venticinque/ventisei anni una ragazza era ufficialmente guardata come tale.
Da notare: se i protagonisti maschili della regency novel appartengono per lo più a famiglie blasonate (anche se non sono destinati a ereditare il titolo perché figli cadetti), l’origine delle protagoniste femminili non è necessariamente altolocata. Troviamo figlie di pastori (come Jane Austen!), di gentiluomini di campagna, a volte anche – quando c’è di mezzo una dote consistente – di nuovi ricchi (così disprezzati dal ton!). Oppure le nostre protagoniste possono avere sangue blu, ma appartenere a una famiglia decaduta ed essere costrette  a impiegarsi per vivere, come governanti, istitutrici o dame di compagnia.  Be’, cosa pensavate: l’effetto Cenerentola funziona alla grande anche nel regency!

La Season, ovvero “la stagione”, corrisponde all’apertura del Parlamento, quando i Pari del Regno si riversavano a Londra dalle residenze di campagna per fare – chi più chi meno – il loro dovere alla House of Lords, per incontrarsi nei club esclusivi (White’s, Brook’s), nei bordelli e nelle sale da gioco. La vita del Parlamento entra nel vivo più o meno dopo Pasqua (a volte prima) e si chiude ufficialmente a metà agosto quando incomincia la stagione di caccia (Glorious Twelth). In realtà gli aristocratici lasciano Londra già con il primo caldo, alla fine di giugno/inizio luglio, per ritornare alle loro residenze di campagna - che possono essere dei veri e propri castelli degni della famiglia reale - o visitare le città alla moda sul mare (Bath, Weymouth o Brighton), o ancora intraprendere un viaggio in continente. Durante la season vengono riaperte le town house (dal solito battaglione di servitori) e i lord vi si trasferiscono con le proprie famiglie, soprattutto se ci sono delle ragazze in età da marito da sistemare.
È proprio per rendere più vivace e mondana la vita dei lord, per richiamarli nella capitale del Regno, che a Londra nasce la season.
La vita del ton durante la season è scandita da riti quotidiani imprescindibili e da regole di comportamento severe, come le visite pomeridiane (morning calls) ai salotti alla moda, in orari e giorni precisi stabiliti dalla padrona di casa; le passeggiate a Hyde Park, a cavallo, in calesse o a piedi, dove le miss necessitano sempre di uno chaperon; le serate all’Opera o ai giardini di Vauxhalles; gli eventi sportivi (Royal Ascot per citare forse la corsa di cavalli più conosciuta) e quelli culturali (la Royal Academy Summer Exhibition a Burlington House), i balli nelle grandi magioni private o, il mercoledì sera, da Almack’s.
Un accenno a Almack’s, se scrivete della season, è fondamentale.
Almack’s (Almack’s Assembly Rooms)
 fu uno dei primi club privati di Londra ad aprire a uomini e donne. L’ammissione, ambitissima, dipendeva dal severo giudizio di un comitato formato da sei o sette patronesse, tutte dame dall’alta aristocrazia, che potevano con un sì o con un no fare la fortuna o la disgrazia di una debuttante.
Se la poveretta veniva rifiutata, faceva meglio a tornarsene in gran fretta in campagna perché la sua reputazione era rovinata per sempre. Viceversa, per un uomo, soprattutto se blasonato e potente, essere bandito da Almack’s non aveva grandi conseguenze, se non quella, non poi così grave, di essere considerato un rake, un libertino. E di libertini, i romanzi regency, sono davvero affollati. Durante la stagione, le patronesse si riunivano settimanalmente per vagliare il comportamento in società dei vari soci del club, decidere nuove ammissioni o repentini allontanamenti. Durante i balli non venivano serviti liquori, ma solo limonata e tè. Le danze preferite erano le contraddanze (country dances, quelle in cui dame e cavalieri si fronteggiano lungo due file), il valzer fece il suo ingresso solo nel 1813, ma qualcuno sostiene nel 1815. Se durante un ballo una debuttante danzava per più di due set (ogni set comprendeva due danze, per una durata totale di circa 15 minuti) con lo stesso cavaliere, era praticamente compromessa. Forse già in stato interessante.
Le occupazioni del ton. Sia chiaro, chi appartiene al ton non lavora. I lord parecipano alle sedute in Parlamento (House of Lords) e si occupano delle proprie tenute (o meglio le affidano alla cura di un amministratore), ma disdegnano il lavoro che reputano adatto solo ai ceti inferiori. Si dilettano nelle palestre di boxe e scherma, si sfidano al galoppo o sui loro snelli phaeton lungo Rotten Row a Hyde Park e frequentano le aste di cavalli di Tattersall’s. Poi giocano, bevono e vanno a donne, oltre a frequentare assiduamente i sarti (ma di questo parleremo dopo). Le ladies ricamano, scrivono lettere a qualche cugina lontana, si esercitano nell’acquarello e nella musica (canto o strumento, non manca mai il concertino serale della debuttante di turno) e giocano a whist  (dopo cena). Devono anche saper cavalcare (da amazzoni, naturalmente) ed essere in grado di partecipare a una battuta di caccia. Come i signori, sono piuttosto interessate allo shopping. Leggono anche, e frequentano assiduamente le Ciculating Libraries (i libri erano molto costosi, quindi era possibile prenderli in prestito previo pagamento di una sottoscrizione annuale).

Che mondo, quello del Regency! Ma era proprio così?  Da quanto ho detto fino a qui, il mondo del regency sembra diviso in due: da una parte il ton, in netta minoranza numerica, ovvero gli aristocratici: belli, colti, eleganti e sempre pronti a godere della propria condizione privilegiata che non solo non viene mai messa in discussione, ma viene esaltata quasi come un diritto divino; dall’altra tutto il resto del mondo che di solito, nei regency, non fa che una comparsata, spesso in abiti da servitore (il valletto del lord, la cameriera personale di my lady, il negoziante zelante, lo stalliere, il dottore).
Quando in un regency si parla di guerre napoleoniche, che rimasero comunque lontane dal suolo d’Inghilterra, lo si fa di solito nell’ambito di una spy story o come background personale dell’eroe (ad esempio se il protagonista è un ufficiale in servizio o in congedo dalla Royal Navy) .
La realtà sociale del periodo è in realtà molto diversa da quella che ci viene raccontata ed è caratterizzata dall’insicurezza economica. Dopo le guerre napoleoniche ci si chiude nei confini del Regno (ecco l’isola felice che in realtà non lo è) e, mentre i nobili partecipano a feste e ricevimenti, ciechi ai cambiamenti sociali che stanno per colpire l’aristocrazia e alla rivoluzione industriale che avanza, i lavoratori del nord si rivoltano spesso e volentieri (a Manchester, nel 1819, ci fu il famoso massacro di Peterloo) mentre i luddisti si scatenano contro i nuovi macchinari che sottraggono lavoro agli operai. Di questi fatti, di mutamenti sociali e delle misere condizioni del popolo nei nostri amati regency non ci si cura più che tanto.

3) Per scrivere un regency bisogna conoscere le regole del corteggiamento e del matrimonio.
Come si diceva prima, la ricerca di un marito per le proprie figliole era un fatto serio per una famiglia e poteva richiedere, oltre alle disponibilità per una dote appetibile, un vero investimento in termini di guardaroba, gioielli e naturalmente di partecipazione alla season.
Prima della proposta i due piccioncini dovevano seguire un vero e proprio codice di comportamento che, da una parte, serviva a proteggere la reputazione della ragazza, dall’altra evitava all’uomo di venire incastrato contro il suo volere (abbiamo già detto prima che ballare due set di danze con lo stesso giovanotto equivaleva a ritrovarsi fidanzati).
Una coppia necessitava sempre di avere tra i piedi uno chaperon. I due innamorati non potevano rimanere da soli nella stessa stanza, conversare o passeggiare, chiamarsi per nome, viaggiare soli sulla stessa carrozza, prendersi per mano o toccarsi neppure per salutarsi (un semplice inchino era sufficiente). Poi magari trovavano il modo, ma questo è un altro discorso.
La proposta di matrimonio veniva rivolta dal pretendente prima all’amata (che in questa occasione poteva rimanere finalmente sola con lui) e solo dopo al padre di lei. Rompere un fidanzamento era un atto gravissimo ed era accettato solo se era la promessa sposa a volerlo. Se a domandare la rottura era il fidanzato, lo scandalo era assicurato e un duello in nome della giovane abbandonata sempre possibile.
Prima del matrimonio veniva redatto un contratto matrimoniale in cui si stabilivano i rapporti economici fra i due futuri sposi.
Matrimonio. Per sposarsi (per convenienza o per amore non faceva differenza) bisognava avere almeno ventun anni (o un permesso dei genitori) e attendere che le pubblicazioni (wedding banns) venissero prima lette, poi esposte in entrambe le parrocchie degli sposi per tre domeniche consecutive (ma era anche possibile acquistare da un vescovo una licenza grazie alla quale non era più necessaria la lettura pubblica dei banns). I matrimoni si potevano celebrare solo alla mattina, dalle otto a mezzogiorno, e mai di domenica. Era il parroco della chiesa ad officiare. Chi aveva molta fretta di sposarsi poteva galoppare fino a Canterbury e chiedere all’Arcivescovo una licenza speciale (speciale e molto, molto costosa) grazie alla quale si potevano evitare i tempi di esposizione dei banns, oppure fuggire a Gretna Green (o in un qualsiasi altro villaggio scozzese di confine) dove anche i maniscalchi avevano il potere di celebrare un matrimonio senza perdita di tempo, senza fare domande e a prezzi davvero stracciati.
Le donne, una volta sposate, non avevano più diritti, neppure di vedere i figli se il marito decideva così. Anche i loro denari e le proprietà di famiglia passavano col matrimonio al consorte (a meno che non venisse preventivamente steso un contratto matrimoniale).
Ci sono voluti molti anni e molti Matrimony Acts, Custody Acts e  Married Women’s Property Acts (leggi per il matrimonio, per  la custodia dei figli e per la proprietà delle donne sposate) per far cambiare questo vergognoso stato di cose (ma non accadde prima della fine del XIX secolo).
Il divorzio e l’annulamento erano già possibili, ma per nulla facili da ottenere e molto costosi. La rottura di un matrimonio significava scandalo e la donna finiva comunque per essere bandita dalla società.

4) Per scrivere un regency bisogna conoscere la moda del tempo.
Una delle ragioni del successo del Regency sono, a parer mio, gli abiti. A chi, di voi signore che state leggendomi, non piacerebbe almeno una volta indossare un abito come quelli delle sorelle Bennet?
Dopo gli eccessi del ‘700 - quando l’ampiezza delle gonne o l’altezza delle parrucche poteva impedire alle signore di passare persino attraverso le porte e quando gli abiti maschili camuffavano la virilità dei gentiluomini -  si tornava infine a una moda più portabile.
La nuova moda evolve da quella nata spontaneamente durante la rivoluzione francese e si ispira agli abiti delle donne dei ceti più bassi, molto più semplici “da vivere” nella quotidianità rispetto a quelli dell’ aristocrazia. Impone la vita alta – stile impero - e gonne lisce e affusolate, per lo più senza strascico, che sottolineano la figura senza nasconderla. Realizzati in tessuti poveri e di foggia castigata di giorno, gli abiti la sera diventano scollati (a volte mostrano persino i capezzoli), sbracciati (con piccole maniche a sbuffo) e si impreziosiscono di stoffe leggerissime ed evanescenti. Il neoclassicismo si impone, oltre che in architettura e nelle lettere, anche nella moda. Non è un caso che il periodo Regency corrisponda a quello dell’Impero Napoleonico e a quello del diffondersi degli scavi archeologici, cui molti aristocratici si dedicano con passione. Vi siete mai chiesti perché il Louvre e il British Museum abbondino di ricordini assiri, babilonesi, egiziani e greci?
Ma c’è anche un altro motivo per cui gli abiti si fanno smilzi e abbandonano almeno per il giorno tessuti preziosi e difficilmente lavabili, e si chiama rivoluzione industriale. L’Inghilterra importa cotone dalle colonie e, nelle fabbriche del Nord, lo trasforma in stoffe che, grazie a macchinari sempre più sofisticati, vengono stampate a costi accessibili e con risultati via via migliori. Si diffondono le prime macchine da cucire (anche se per una diffusione capillare bisognerà attendere ancora qualche decina di anni) e negli empori dove un tempo si vendevano solo stoffe e accessori si cuciono gli abiti per le clienti o addirittura si vendono abiti confezionati (come da Clark & Debenham nel cuore di Mayfair). La nuova moda diventa virale, come diremmo oggi, e si diffonde in tutti gli strati sociali e a tutti i prezzi. Per soddisfare la richiesta delle clienti, aumenta anche il numero delle sartine che punto dopo punto confezionano per pochi pence i nuovi modelli. C’è infine un altro aspetto da tenere presente che va di pari passo ai più elevati standard di igiene personale della popolazione: i nuovi capi diventano molto apprezzati anche perché facili da lavare e da mantenere. Nascono i primi giornali di moda, tra cui il più famoso è il mensile La belle assemblée (se lo citate, tenete presente che nacque nel 1806). Oltre agli articoli di moda e ai suoi famosi figurini con gli ultimi modelli, forniva alle signore articoli di varia natura, compresi uno spartito musicale, poesie, novelle e romanzi a puntate. 
Gli abiti delle signore consistevano essenzialmente di tre strati: la biancheria intima (una camiciola, un corsetto – meno devastante di quelli settecenteschi e di quelli vittoriani – mutandoni, calze sostenute da giarrettiere e una sottoveste, di cui sbucava spesso dalla gonna dell’abito il bordo ricamato); seguiva l’abito vero e proprio (che per la sera poteva essere quasi trasparente, da lì la necessità della camiciola) e a coprire il tutto uno scialle di cashemere o seta, un mantello con cappuccio o una giacca (pelisse, spencer o redingote) monopetto, attillata e dal taglio maschile. Spesso mantelli e giacche, realizzati in lana o velluto, sono bordati di pelliccia.
I colori più tenui sono preferiti da debuttanti e miss (anche se fidanzate), quelli più intensi dalle signore sposate o comunque di una certa età. Le scarpe, nel ‘700 dotate di tacchi altissimi sia per gli uomini che per le donne, diventano quasi piatte (le famose slippers), un po’come le ballerine di oggi. Per il brutto tempo e per camminare le signore non disdegnano stivaletti da passeggio bassi e comodi.
I cappelli. Chi di voi non ha amato le famose cuffie a campana di Lizzie? O quei deliziosi cappellini di foggia maschile usati per cavalcare? A quei tempi, una signora non usciva mai senza cappello, almeno di giorno, mentre alla sera poteva indossare tra i capelli anche solo dei piccoli ornamenti, gioielli veri e propri ma anche semplici nastri incrociati alla sommità del capo, fiocchi, o pennacchi arditamente infilati nell’acconciatura. Molto in voga, sia in versione da giorno che da sera, i turbanti.
A proposito di capelli: così come si semplificano gli abiti, anche le acconciature diventano meno arzigogolate e mastodontiche e, soprattutto, le parrucche, sia quelle degli uomini che delle donne, finiscono in soffitta. I capelli delle signore vengono tagliati e arricciati in modo che ricadano sulla fronte e ai lati del viso in morbidi riccioli. Quelli più lunghi vengono stretti in una crocchia sulla sommità del capo. Vietato uscire senza:  guanti, inevitabili e inamovibili di giorno come di sera sia per lui che per lei (si potevano togliere solo durante la cena); ventagli, utili, oltre che a farsi vento dopo un ballo o a nascondersi mentre si mormora qualche pettegolezzo, a comunicare ai gentiluomini con gesti precisi il proprio interesse o disinteresse (ma attenzione a non confondersi!); reticella, una sorta di borsa di stoffa necessaria durante il giorno perché gli abiti non prevedevano tasche di alcun tipo, e parasole che evitava alle lady nasi arrossati e poco aristocratiche lentiggini.

Gli abiti dei gentiluomini. Sulla spinta della rivoluzione francese prima e poi grazie a Lord Brummell cambiano radicalmente. A mettersi in testa cipria (peraltro tassata da Pitt con una legge del 1795) e parrucche sono ormai solo avvocati, preti, medici, giudici, militari e servitori, ma anche chi frequenta la corte. Nell’aristocrazia il dandismo di Brummel poco per volta si impone e gli uomini seguono il loro vate e come lui si tagliano i capelli alla Brutus (senza disdegnare riccioli e tirabaci vari), si radono il volto ma si fanno crescere i favoriti, indossano abiti che ricordano quelli dei gentiluomini di campagna, sobri nei colori e nei tagli. Abbandonano i pantaloni al ginocchio per quelli lunghi (prima solo di giorno, poi anche alla sera: da Almack’s, però, non si entrava senza braghe al ginocchio!), scelgono giacche attillatissime dal taglio impeccabile (sul davanti tagliate alla vita, dietro con la coda), panciotti raffinati, camicie di lino immacolate dai colli alti, strette da cravatte dai nodi complicati (in realtà erano strisce di tessuto perfettamente inamidate che si giravano parecchie volte intorno al collo prima di essere annodate). Di giorno indossano stivali da cavallerizzo al ginocchio (i famosi hessian boots) o stivaletti, la sera scarpe con i lacci (le scarpe con la fibbia spariscono). Il bastone da passeggio (a volte animato visto che un gentiluomo non esce armato di spada) diventa un must. Dimenticati il tricorno e il bicorno, va di moda un cappello alto e leggermente conico che darà origine al classico cappello a cilindro. La moda maschile si indirizza verso scelte sobrie e di rigore, ma per questo non così comode da indossare: non è un caso che tutti gli aristocratici necessitino di un valletto per vestirsi e per svestirsi (il valletto, un altro comprimario classico nel regency!).
E a proposito di servitùBe’, ci sono delle figure irrinunciabili che, prima o poi, fanno la loro comparsa nel corso della storia: il maggiordomo (the butler), signore della casa, spesso più snob dei padroni. La governante, la cuoca con il suo esercito di aiutanti, i camerieri e le cameriere (di vario ordine e grado), le sguattere, il valletto di my lord,  la cameriera personale di my lady, guardaportoni, stallieri, bambinaie (nunnies) e istitutori. E di certo mi sono dimenticata di qualche figura fondamentale dei piani bassi.

5) Si fa presto a dire my lord: per scrivere un regency bisogna conoscere qualche regola base sui titoli nobiliari.
Ve lo dico subito: fate attenzione ai titoli nobiliari che sono un bel casino. Ci sono regole precise (ancora oggi valide) dalle quali non si può prescindere. E poi…ci sono le “precedenze”, una sorta di classifica che tiene conto dell’importanza del singolo titolo, dal monarca all’ultimo baronetto!
Ecco i titoli nobiliari, a incominciare dal più alto.
Duca, è un titolo territoriale, il più ambito nei regency storici essendo il più prossimo a quello reale, ma in realtà non così diffuso quanto la narrativa regency vorrebbe farci credere. Si conta che nel 1818 ci fossero in tutto 25 duchi (tra Inghilterra, Scozia e Irlanda).
Al duca e alla duchessa non ci si rivolge MAI chiamadoli lord e lady o con il nome di battesimo o con il cognome, ma solo Vostra Grazia. Supponete che il nuovo duca di York si chiami alla nascita Giovanni Rossi: sarà per tutti Sua Grazia il duca di York, o York in caso di estrema confidenza, mai Duca Rossi (sì, fa ridere, lo so).
Marchese. Il secondo titolo un ordine di importanza è pure territoriale: esempio, Marchese di Vattelapesca. Quando ci si rivolge a un marchese lo si chiamerà Lord Vattelapesca o solo (se si è in confidenza), Vattelapesca. Nome e cognome di famiglia non vengono mai usati.
Conte. È pure un titolo territoriale, quindi non corrisponde al cognome, ma alla contea: il Conte di Meraviglia, anche se raramente in inglese si usa Earl of Meraviglia, ma solo Earl Meraviglia. Ci si rivolge a lui come Lord Meraviglia, o Meraviglia se si è in confidenza. Nome e cognome non vengono mai usati.
Visconte e barone. Quelli di visconte e di barone non sono titoli territoriali, per cui spesso il titolo corrisponde al cognome. Ci si rivolge a loro come Lord Taldeitali, o Taldeitali se si è in confidenza.
I baronetti, infine, non sono peer, non siedono nella House of Lords. Non ci si rivolge a loro come Lord, ma come Sir più il nome di battesimo. La moglie di un baronetto è una dame, ma ci si rivolge a lei come Lady più il suo nome di battesimo più il cognome del marito.
Re, principi e regine. Ci si rivolge a loro come Vostra Altezza Reale. Per fortuna la loro presenza nei regency è piuttosto casuale (a volte si nomina il reggente o la regina Carlotta) ma non li ho mai tincontrati tra i protagonisti. Per fortuna, dicevo, perché le regole che governano il protocollo reale non finiscono più!

Per ricapitolare:
a) A un pari d’Inghilterra ci si rivolge col titolo, mai con il cognome di famiglia (solo nel caso di visconti e baroni titolo e cognome a volte corrispondono).
Supponiamo che Fitzwilliam Darcy  sia un nobile, signore di Vattelapesca, sposato con Elizabeth Bennet.
Se si tratta di un duca ci si rivolgerà a lui chiamandolo: Vostra Grazia, oppure Vostra Grazia Vattelapesca, o ancora Vattelapesca se si è in confidenza.
In tutti gli altri casi (marchesi, conti, visconti, baroni) ci si rivolgerà a lui come Vostra signoria (Your Lordship), Lord Vattelapesca e se si è in confidenza, Vattelapesca.
In ogni caso si firmerà semplicemente Vattelapesca.
b) La moglie di un pari con il matrimonio perde il cognome da nubile. Ci si rivolgerà a lei come: Vostra Grazia (Vattelapesca) se è una duchessa. In tutti gli altri casi la si chiamerà Lady Vattelapesca (mai Lady Elizabeth Vattelapesca), oppure my lady, o ancora Vostra Signoria (Your Ladyship). Si firmerà  sempre con il nome di battesimo + il titolo: Elizabeth Vattelapesca.
Solo la moglie o la madre di un pari hanno diritto al titolo di Lady Vattelapesca.
c) I figli dei pari. Come si diceva prima, solo il primogenito ha diritto al titolo.
Nel caso di duchi e marchesi all’erede viene attribuito fin dalla nascita il secondo titolo del casato, come mero titolo di cortesia. Supponiamo che il duca Vattelapesca sia anche marchese di VattelapescaDiSotto. In attesa di ereditare il ducato, il suo primogenito diventerà  Marchese di VattelapescaDiSotto. E se questi dovesse diventare padre prima di essere duca, a sua volta il suo primogenito otterrebbe il terzo titolo dei Vattelapesca (se esiste, ad esempio Conte di VattelapescaDiSopra). Tutti gli altri figli di Fitzwilliam Darcy duca di Vattelapesca saranno per cortesia chiamati Lord  + nome di battesimo + Darcy, ma rimarranno sempre dei commoner (a meno che non uccidano tutti i legittimi eredi al titolo che li precedono nella linea ereditaria). Supponiamo che il secondo genito del Duca di Vattelapesca si chiami Robert: verrà chiamato Lord Robert Darcy e sua moglie Lady Robert Darcy, ma i loro figli saranno dei semplici mister.
Nel caso il nostro duca (o marchese) Vattelapesca abbia delle figlie, queste verranno chiamate per cortesia Lady + nome di battesimo + Darcy, oppure solo Lady + nome di battesimo. Ad esempio Lady Orthensia Darcy. Se Lady Orthensia sposerà un pari, esempio il conte di Chisoio, diventerà Lady Chisoio, se sposerà un commoner diventerà Mrs Commoner.
L’erede di un conte ha pure diritto al secondo titolo del casato (l’erede dell’erede no). Se non esiste un secondo titolo sarà chiamato Lord + il cognome del padre. Gli altri figli avranno il titolo di honorable e si firmeranno: honorable + nome di battesimo + cognome ma, per legge, saranno semplicemente dei mister. Le figlie di un conte saranno Lady + nome di battesimo + cognome.
Gli eredi di un visconte o di un barone non hanno titoli di cortesia, ma vengono definiti honorable, così come i loro fratelli minori. Le loro sorelle vengono semplicemente chiamate Miss.
I figli dei baronetti sono dei commoner e a loro ci si rivolge come Mister o Miss.

6) Per scrivere un regency bisogna conoscere come si eredita un titolo.
Un altro tema molto presente nelle trame dei regency è quello dell’eredità. Ai tempi della reggenza le donne di regola NON ereditavano il titolo che passava, in caso di morte di un pari, al parente maschio più prossimo (ma ci sono eccezioni comprovate – soprattutto tra i baroni - che confermano la regola, quindi nei vostri romanzi potete anche scatenare la fantasia e lasciare in eredità il titolo a una donna).
Un erede legittimo non può essere diseredato in nessuno caso (be’, potete sempre ucciderlo, o farlo uccidere se è un impiastro).
L’erede maschio, che sia figlio o parente più prossimo del pari, riceve insieme al titolo la entailed property, ovvero tutto ciò  (terre, coltivazioni, investimenti, possedimenti, edifici in città, residenze di campagna) che fa capo al casato e che lo alimenta economicamente. Se, alla morte di un pari, non esiste un erede legittimo, il casato e la sua entailed property tornano alla Corona. Un pari poteva fare testamento e decidere di lasciare in eredità i beni non vincolati alla entailed property (ad esempio quelli ricevuti in dote dalla moglie, o vinti al gioco) a chiunque volesse. Non era obbligato a lasciarli alla moglie o agli altri figli (insomma, non esisteva la legittima).
I figli bastardi di un pari, anche se primogeniti, non avevano diritto al titolo, anche se allevati insieme al resto della prole nella casa del padre. Se, oltre al figlio illegittimo, non vi erano altri eredi al titolo, titolo e proprietà tornavano alla Corona. Per non essere considerato illegittimo, un figlio doveva nascere all’interno del matrimonio, non obbligatoriamente essere concepito all’interno del matrimonio. Un figlio maschio illegittimo riconosciuto dal padre veniva accettato in società. Una figlia illegittima non veniva mai accettata in società. Di bastardi, più o meno affascinanti, la narrativa regency pullula.

7) Su rendite e denaro (e perdonate le approssimazioni).
Un pound aveva il potere di acquisto quasi 50 sterline di oggi.
La rendita annuale di un uomo molto ricco, come Mr Darcy, era di 10.000 sterline, pari a circa 340.000 sterline di oggi e al 4% del suo capitale totale (fate voi i conti J).
A una famiglia benestante occorrevano per vivere senza particolare sfarzo circa 200 sterline a persona. La rendita di Mr Bennet (il padre di Lizzie) era di 2000 sterline all’anno, circa 68.000 di oggi. In caso di morte, tutto il suo capitale sarebbe finito all’odioso cugino Collins e a Mrs Bennet sarebbero rimaste solo 200 sterline all’anno. Vi stupite che volesse sistemare le figlie?  
Durante la season l’affitto di una town house  nel West End poteva costare fino a 1000 sterline.
La rendita annuale di un operaio o di un contadino era tra i 15 e i 20 pounds.
Di una cameriera (con vitto e alloggio) 5 - 15 sterline.
Jane Austen ricavò dalla vendita dei suoi romanzi 684 sterline, circa 23.000 pounds di oggi.
Anche se ai tempi non esistevano le carte di credito, le classi più agiate, borghesi e patrizie, avevano sempre un conto aperto presso i bottegai abituali, compresi i sarti. In altre parole, pagavano quando volevano (i poveretti non potevano farlo, ovvio!). I regency sono affollati di nobili affascinanti e squattrinati inseguiti dai debitori.
Il denaro si presentava di norma sotto forma di moneta (la guinea d’oro –una sterlina + un penny- era il pezzo più prezioso). Esistevano già le banconote, emesse dalle singole banche, non dal governo, quindi più simili a degli assegni che a denaro corrente. I Funds (fondi) governativi pagavano annualmente un interesse del 4%.

8) Qualche notizia alla spicciolata.
Il ton era solito porgere i propri omaggi durante i morning call, brevi visite di solito pomeridiane che non necessitavano di un invito. Se l’ospite era di ceto inferiore a quello dei padroni di casa o era nuovo in città doveva attendere un invito specifico per recarsi in visita. In campagna le regole di vicinato erano molto più elastiche.
Un biglietto da visita (ecco perché si chiamano così) era lasciato dal visitatore nel caso i padroni di casa non fossero stati in casa.
Una lady, sia sposata che nubile, non si recava mai in visita a casa di un uomo. Un uomo poteva far visita alla figlia di una famiglia conosciuta solo se questa non era più in età da marito o se era un’amica di lunga data.
Una lady poteva guidare in città il proprio calesse solo se accompagnata da un valletto o da uno chaperon. In campagna, all’interno delle proprie terre, non aveva alcun obbligo.
Una lady, anche se fornita di chaperon, non transitava mai col suo calesse in St James Street, dove avevano sede i gentleman club più frequentati dai lord. 
Per cena era d’obbligo indossare un abito da sera.
A una cena formale, il padrone precedeva gli ospiti in sala da pranzo al braccio della gentildonna di rango più alto. Gli altri ospiti seguivano a due a due, sempre in ordine discendente di rango (in base alla precedence). La gentildonna più alta di rango sedeva alla destra del padrone di casa il cui posto era sempre a capotavola.
Nelle cene formali si poteva parlare solo con i propri vicini, in quelle informali anche con gli altri commensali.
Al termine della cena le signore si ritiravano in salotto lasciando i signori ai loro sigari, liquori e discorsi.
Dare sfogo in pubblico alle proprie emozioni era considerato maleducato.
Era permesso ridere, ma non in modo esagerato (soprattutto alle signore).
Gli uomini potevano invece dare sfogo al proprio divertimento se erano in compagnia di altri uomini o di donne di dubbia reputazione.
Una lady non partecipava mai a gare o competizioni.
Galoppare a Hyde Park era vietato.
Durante la stagione era necessario farsi vedere a Hyde Park durante l’ora della passeggiata, tra le cinque e le sei del pomeriggio.
In strada i domestici (ad esempio la cameriera personale di una giovane lady) rimanevano sempre a qualche passo di distanza dai loro padroni. Ai domestici ci si rivolgeva sempre con educazione e in modo formale.
Una signora non doveva mai parlare di certe indecorose attività maschili, anzi doveva fingere che non esistessero. Un uomo doveva tenere separate dalla famiglia le medesime attività e gli amici non raccomandabili.
Dopo aver dato un erede al marito, una donna poteva, con discrezione, avere un amante.
Un lord doveva pagare subito i suoi debiti, o ne andava del suo onore.
Una lady non doveva occuparsi di denaro se aveva un uomo che poteva farlo per lei.
I duelli erano vietati dalla legge.

E ricordate che, per definirsi tale, un regency deve essere ambientato all’interno del Regno Unito.







1. AL VOI, NO AL LEI!: Il tu puoi usarlo solo fra parenti stretti (mai per rivolgersi ai genitori), amici e amanti, ma non in società.

2. LA VERGINITA' NON E' UN OPTIONAL: La tua eroina è una donna di quel tempo, non una tipa emancipata di oggi: per quanto dotata di ormoni, non si concederebbe mai al primo appuntamento (e neanche al terzo).

3. PROCURATI UN CALENDARIO DELL'EPOCA: Scegli con cura il periodo in cui ambientare la tua vicenda e segna i fatti storici più importanti su un calendario dell’epoca (lo scarichi da internet); a questo punto, se vorrai, potrai citarli al momento giusto ed evitare gaffe storiche.

4. RIFERIMENTI STORICI: Cita qualche personaggio famoso (artista, poeta, politico), qualche titolo di romanzo, giornale, luogo d’incontro dell’epoca. Non guasta.

5. ORIGINALITA': Inserisci qualche elemento di originalità, compatibile con i tempi (un viaggio in pallone areostatico?), non limitarti a riverenze e sventagliamenti maliziosi. Uno scopo, un sogno, una passione possono rendere i tuoi protagonisti più interessanti.

6. PROCURATI UNA CARTINA DELL'EPOCA: Tieni sottomano una cartina geografica dell’epoca e studiala (la trovi in rete). Ricorda che Londra era trafficatissima anche allora e che raggiungere le residenze di campagna poteva essere un viaggio lungo e difficoltoso.

7. LINGUAGGIO VEROSIMILE: Non usare un vocabolario datato o altosonante, suonerebbe ridicolo. Ma stai attento ad evitare termini  o modi di dire troppo attuali che non avrebbero potuto essere utilizzati all’epoca (ad esempio, pallone gonfiato). Bisogna cercare un equilibrio linguistico, non sempre facile da raggiungere.

8. RICERCA IMMAGINI DELL'EPOCA: Tieni a portata immagini di abiti, per lui e per lei, di luoghi e di mezzi di trasporto del tempo. Ti sarà più facile descriverli. Cerca in rete dipinti dell’epoca e studiane i particolari.

9. ATTENZIONE AI NOMI E AI TITOLI NOBILIARI: Scegli nomi e titoli nobiliari dei protagonisti ispirandoti a quelli reali, ma modificandoli leggermente.

10. INFRANGI LE REGOLE DEL TON): Rispetta, prima di infrangerle (se no che barba!), le regole sociali dell’epoca.


Vi ricordo il bellissimo racconto di Viviana, proprio ambientato in epoca Regency che potete trovare QUI.

E vi do appuntamento a settembre con un'altra strepitosa ambientazione.
Buon vacanze!













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