lunedì 1 dicembre 2014

INTERVISTA A BARBARA BOLZAN


Ciao Barbara, benvenuta nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te. 

Ciao Linda e grazie per avermi riservato questo angolino per chiacchierare un po’ insieme!
Devo raccontarti di me? Proprio oggi? No, guardami: di corsa, spettinata, con in tasca… cos’è questa roba? Oh, una micro-tazzina rosa. Sai, stavo prendendo il caffè con la mia Teppina. Mi dissemina ovunque pezzi di sé: i suoi disegni tengono il segno tra le pagine dei libri; rimasugli di biscotti e pupazzetti si contendono lo spazio angusto della mia borsa.
Insomma, questa sono io: una mamma, una moglie, una grande lettrice con la passione della scrittura. Il tutto, esattamente in quest’ordine.


Il diploma al Liceo Classico e la frequentazione dell’università (facoltà di Lettere e filosofia). Dove trovi il tempo per scrivere e quando hai deciso di impugnare carta e penna?

Fino a un anno e mezzo fa ti avrei risposto: il tempo si trova sempre. Ogni momento, ogni pezzo di carta volante (appunti, scontrini, kleenex, biglietti del treno, all’occorrenza) è buono, quando capita l’idea giusta, la frase giusta: l’importante, è imprimerla per non dimenticarla.
Oggi mi scontro con la vera dinamica del tempo (che passa, veloce, pieno di cose da fare e -accidenti!- non basta mai, alla faccia di Einstein). Le ore mi sfuggono tra le dita e i momenti-per-me sono veramente ridotti.
Parliamo di ieri, allora.
Quando ho decisi di impugnare carta e penna? Da quello che mi ricordo, ho sempre avuto la passione di raccontare storie. All’inizio erano schizzi e disegnini che “raccontavano” qualcosa. Quei disegnini, a un certo punto, devono essersi trasformati in parole. Ed io ho cominciato a vedere che, tutto sommato, in quel nuovo universo non mi trovavo poi male.


Tra le tue passioni annoveri il pianoforte e la lettura. C’è qualche autore che consideri tua ‘Musa’?

“Dove finiscono le parole, là inizia la musica”, lo diceva Heine.
Le mie 'muse' sono tante. Si accavallano, si danno il cambio, litigano tra loro per guadagnarsi il diritto di precedenza, come tante prime donne. Così come variano gli stili, così varia anche il sottofondo musicale che accompagna le mie giornate.
Una volta, però, ho tentato di mettere insieme queste mie due passioni (musica e parole), ed è stato mentre confezionavo "Requiem in re minore", un romanzo che, almeno nell’idea primigenia, avrebbe dovuto trattare di un pianista di successo giunto all’apice della carriera e che, per una serie di motivi, volta le spalle a se stesso.
La storia poi ha preso un’altra piega, il mio protagonista è diventato semplice comprimario… ma, di quell’idea seminale, è rimasta la struttura base, le note delle Variazioni Goldberg che riempivano gli ambienti… e Mozart, ovviamente. Che è rimasto saldo a dare il titolo all’opera.
Per quanto riguarda le mie Muse letterarie: anche loro si alternano. Ma ho una passione per Joyce e Borges. 


“Non riuscirei ad immaginare una vita senza Parole! E… senza “tratti”. Approfondiamo questa dichiarazione. 

 
Non ho mai studiato seriamente né ho frequentato corsi, ma l’arte e il disegno mi hanno sempre attratta. Sono autodidatta, i risultati sono quelli che sono, ma di certo non riesco a starmene con le mani ferme. È come se le dita fossero fatte per stringere sempre e comunque una matita.
Li chiamo “schizzi”. Talvolta, questi schizzi mi sostengono nel corso della stesura di una nuova storia; la accompagnano giocando ad essere degli storyboard che mi aiutino a visualizzare la scena da descrivere, i tratti di un volto, il taglio di un sopracciglio.
Quando scrivo, cerco di essere molto “visiva” e tento di trasmettere questa mia mania (in quale altro modo vogliamo chiamarla?) a chi mi legge. Creo una sorta di istantanee su carta. Che, poi, possono rimanere semplici tratti a matita, in bianco e nero… o trasformarsi in parole. 

 
Nel tempo libero tieni anche corsi di scrittura creativa, uno dei quali partirà proprio a gennaio presso la Libreria di Desio. Vuoi anticipare qualcosa agli interessati?

Insieme ai gestori della Libreria sto ancora stendendo il programma del corso, definendo ogni lezione.
Ho preso spunto da quando insegnavo scrittura creativa nei licei (un’esperienza bellissima, da una parte; dall’altra… buffa. Il primo giorno di lezione, vengo fermata con malanimo da una bidella: “Tu! Ehi, sì, tu! Cosa ci fai a zonzo per i corridoi? Non ce l’hai il professore? Fila in classe!” “Veramente, il professore sarei io…” Ecco cosa si ottiene a fare lezione in jeans e maglietta…).
Ho dovuto aggiustare il tiro: questa volta, non mi rivolgerò più a degli studenti, l’età dei partecipanti sarà libera. Ma sono felice per questa nuova opportunità, eccitata come una bambina alla Vigilia di Natale!
E vi terrò aggiornati su come andrà questa nuova avventura!


Un’altra passione che coltivi sin dall’infanzia è il teatro e, nel 1999, interpreti Lady MacBeth nel film indipendente “Studio sul MacBeth” (regia di Dimitri Patrizi - regista RAI-Endemol). Raccontaci questa esperienza.

L’eccitazione di quando il sipario è ancora chiuso e tu senti rumoreggiare gli spettatori senza poterli vedere, l’odore delle scenografie e dei tendaggi, di legno e di adrenalina, è qualcosa che, una volta provata, ti rimane dentro.
Ho iniziato a fare teatro a sei anni, quando sono stata scelta per entrare a far parte della compagnia teatrale del Maestro Enrico d’Alessandro. Ho iniziato con piccole parti (il mio sogno era interpretare Hellen di Anna dei miracoli). Poi, crescendo, ho potuto affrontare ruoli sempre più impegnativi. Ho recitato "Moliére" e sono stata Puck ne "Sogno di una notte di mezza estate", portato in scena dal regista Dimitri Patrizi.
Sotto maturità, ho impersonato Lady MacBeth in un suo film indipendente ( mi presentavo a lezione col borsone dei costumi di scena. Mentre giravamo gli esterni, sedevo in disparte, con un occhio al copione e un altro alla tesina). Qualche anno più tardi, sempre sotto la direzione di Patrizi (che, a quel tempo, era aiuto regista e planner in Vivere –Mediaset), ho partecipato a una piéce sulla battaglia tra Ottoni e Visconti, portata in scena all’aperto nella piazza Castello di Agliè Canavese (già patria scenica di "Elisa di Rivombrosa"). Del cast, facevano parte attrici del calibro di Lina Bernardi ed Elisabetta de Palo, che aveva insistito per entrare in scena a cavallo… e lo ha ottenuto! 

 
Pubblichi diverse poesie e racconti in varie antologie e, nel 2000, partecipi al Premio “De Palchi-Raiziss” e la tua poesia "Crepuscolo minimo" viene presentata dal Poeta Giovanni Raboni. Parlacene.

La lirica “Crepuscolo minimo” mi ha portata a Verona ed è stata inserita in un’antologia edita da West Press nel 2002.
Soffrendo di quella terribile malattia che è la timidezza cronica (recitare e interpretare un ruolo, è una cosa; dovermi esporre per-me-stessa in prima persona è un’altra!), ho ricordi pseudo-drammatici-corredati-da-mal-di-stomaco di quasi tutte le premiazioni.
Il Premio De Palchi-Raiziss, però, mi è rimasto nel cuore. Era il tempo in cui scrivevo poesie per pagarmi gli studi (che, magari, è brutto da dire ma corrisponde alla verità). Nel corso di quella premiazione, ho potuto conoscere il Poeta Raboni e ho ricevuto i complimenti dell’attrice Piera degli Esposti, che interpretava le poesie vincitrici.
Una sorta di toccata e fuga: in quel periodo ero una sorta di Lupin… ve la ricordate la sigla? “Chi lo sa che faccia ha, chissà chi è… Era qui un momento fa, chissà dov’è…”. Ecco, io ero così.


Dal 2004 al 2013 hai partecipato e sei stata co-relatrice a parecchi convegni internazionali sull’epilettologia. Perché questa scelta?

Non è stata una scelta, quanto il cammino su una strada già tracciata.
Dopo la pubblicazione del mio primo romanzo, “Sulle Scale”, ho cominciato a trattare il tema dell’epilessia non soltanto a “parole cartacee”, ma esponendomi in prima persona. Sono stata invitata a prendere parte a conferenze e convegni, portando la mia testimonianza e il mio punto di vista. Ho parlato spesso a insegnanti e docenti, a pazienti e famigliari, per cercare di trovare insieme un modo per accettare e fare accettare una patologia sicuramente scomoda, nei riguardi della quale la disinformazione fa la parte del padrone. 

 
Il tuo esordio avviene nel 2004 proprio con il romanzo "Sulle scale" pubblicato da AICE (Associazione Italiana contro l’Epilessia), che contiene la prefazione del Ch.mo Professor Ezio Raimondi (Accademico dei Lincei e docente di italianistica all’Università di Bologna). Di cosa si tratta?

Con “Sulle Scale”, per la prima volta mi sono avvicinata al tema dell’epilessia, cercando di sviscerare il perché dei tanti pregiudizi che circolano su questa patologia.
Visto a posteriori, quel primo lavoro era un romanzo rudimentale, scritto per i pazienti e i famigliari delle persone affette dalla malattia. Per esigenze esterne, il testo era stato riveduto e corretto in modo da puntare molto sugli aspetti medico-tecnici, benchè fossi riuscita a conservare l’iniziale freschezza di uno scritto comunque giovanile.
È stato il primo vero passo nel mondo dell’editoria. Un tentativo per capire se davvero avessi qualcosa da dire. 

 
Nel 2006, pubblichi "Il sasso nello stagno" in seguito alla vincita del Premio Letterario internazionale Interrete. Vuoi darcene un assaggio? 

 
"Il sasso nello stagno" nasce nel dipartimento di italianistica dell’università che frequentavo. Ero nel corridoio, in attesa di essere ricevuta dal professore. E quasi non respiravo. No, non tanto per l’ansia di essere a colloquio con un Nome Importante: banalmente, per il tanfo del sigaro che, al di là di quella porta, lui stava fumando.
Le sue lezioni mi incantavano, riusciva a trasmettermi l’amore per una disciplina (pardon: scienza!) ostica e meccanica. E poi (ve lo dico, ma deve rimanere un segreto tra noi): lui era una persona troppo interessante per rimanere semplice “persona reale”. Era uno di quelli che nascono personaggi di una storia. Avete presente il Barone universitario inarrivabile, sul quale generazioni di studenti si tramandano storie da incubo? Ecco.
Potevo lasciarmi scappare l’occasione?
È così che è nato “Il sasso nello stagno”: dall’osservazione curiosa di quell’uomo, dall’amore per le sue Parole, dalla passione che ha saputo trasmettermi per la filologia.
Il romanzo era stato pubblicato nel 2006, agli albori dell’ebook.
Oggi, il contratto è scaduto ed io ho riposto quel volume nel cassetto.
Lo ammetto, mi sto guardando intorno. Non vorrei perdere quel personaggio. Non vorrei perdere quella storia. Devo solo aspettare l’occasione giusta.

Intanto, ti lascio un assaggio dell’incipit:

[...] Sono appoggiata alla porta chiusa, con le mani dietro la schiena. Lui evita di guardarmi. Non si aspettava di vedermi ricomparire così, senza il minimo preavviso, ma è un uomo dotato di una grande padronanza di sé. Quando sono entrata, mi ha rivolto una breve occhiata. Con un rapido gesto della mano mi ha fatto capire che non importa chi sono: prima di potersi dedicare a me, deve finire di leggere ciò che la schermata gli sta offrendo.
Non è un modo come un altro per prendere tempo. È realmente impegnato. Come sempre, del resto. Non è cambiato affatto da come lo ricordavo. Sta lavorando e il suo lavoro ha la precedenza su tutto.
Eccellente critico letterario, saggista pluripremiato, filologo di chiara fama, detentore dell’omonima collezione Arosio -quella che riscuote invidia ed entusiasmo presso i bibliofili-. Nonché mio padre.
Attualmente, il nostro rapporto è un po’ incrinato. Non ricordo un solo momento della mia vita, quindi degli ultimi ventinove anni, in cui non lo sia stato.
Era da tempo che non avevo contatti con lui, a meno che per contatti non si intendano i cospicui versamenti sul mio conto corrente con i quali ogni mese tiene vivo il ricordo della nostra parentela. [...]

Nel 2011 esce il thriller "Requiem in re minore", finalista al prestigioso Premio Alabarda d’oro-città di Trieste (presidente di giuria: Mario Monicelli) e presentato nel 2012 nel corso della serata conclusiva del Festival di Sanremo (Casa Sanremo Writers, presso il Palafiori). Parlacene.

"Requiem" è nato dall’idea di scrivere una storia su un musicista di successo che, metaforicamente, chiude il coperchio del pianoforte e rinuncia a se stesso.
Mentre ero in fase di ricerche, la vicenda ha eletto a protagonista… qualcun altro, e si è spostata dall’ambito musicale a quello prettamente artistico.
Basato sul furto delle due tele di Munch dal Museo di Oslo nel 2004, il romanzo è diventato un thriller che mi ha portato a trascorrere svariati periodi in Norvegia a parlare (leggi: rompere le balle) a coloro che avevano realmente assistito al furto. I vuoti lasciati dalle indagini mi hanno permesso di sopperire ad alcuni silenzi con la fantasia… e ad arrivare a capo dell’intrico.
Il manoscritto era stato premiato al prestigioso “Alabarda d’oro - città di Trieste” e, l’anno successivo, quando ormai era stato pubblicato, è stato ospite della serata conclusiva del Festival di Sanremo, nel corso della manifestazione “Casa Sanremo Writers”: cantanti, giornalisti, telecamere, pass di ingresso, servizio scorta, servizio catering… Una meraviglia! E una grande soddisfazione. Nel famoso cassetto delle storie perdute, c’è adesso il seguito. Avevo deciso di riprendere in mano quella storia, in seguito alle richieste dei lettori. Adesso… be’, la storia c’è. Ha in inizio, un centro e una fine. Devo solo trovare il momento giusto per liberarlo dalla naftalina e decidere cosa farne. 

 
E, nel 2013, esce "L’età più bella", un altro romanzo legato al tema dell’epilessia. Di cosa si tratta? 

 
"L’età più bella" nasce dalla mia insoddisfazione nei riguardi del primogenito "Sulle Scale". Molte cose erano rimaste da dire, l’espediente pseudo-diaristico aveva smesso di soddisfarmi e volevo ampliare molti dei concetti che, in quel primo volume, avevo lasciato solo sullo sfondo.
Così, ho riscritto un nuovo testo e l’ho trasformato in un romanzo vero e proprio, con uno sguardo da uccello sull’universo adolescenziale in toto: il disagio di quell’età, le prime cotte, l’ansia e le paure del cosa-farò-da-grande, la musica, la voglia tutta adolescenziale di spaccare il mondo calcando anfibi ai piedi.
Rimane, naturalmente, il buco nero che la scoperta di soffrire di una patologia misteriosa lascia alla protagonista. E tutto ciò che questo comporta.
È un romanzo di formazione, che vede la lotta di una ragazza per affermare se stessa come individuo, scevro di ogni pesate mantello dovuto a etichette sociali.


Sempre nel 2013 pubblichi anche “Rya – La figlia di Temarin”, primo capitolo della serie storico-fantasy “La saga di Rya”. Cosa troveranno i lettori al suo interno?

Troveranno… me.
No, non sto scherzando! Sempre con l’accortezza che rimanga tra noi, ma te lo voglio dire: lo so che è un romanzo storico camuffato da fantasy, lo so che si svolge in un’altra epoca… ma se un francese confuso aveva i suoi motivi per dire “La Bovary c’est moi”, perché non posso ammettere anch’io “Rya c’est moi?”. Ho anche la fortuna di essere del sesso giusto…
Battute a parte, c’è molto di me in quel romanzo. Ritorna il tema della crescita dell’individuo (come avrai capito, è un tema al quale sono molto legata e che adoro sondare !), ma viene corredato dalle tematiche “classiche” del genere: avventura, intrighi, misteri.
L’iniziale favola della “principessa nel castello” si colora di tinte via via più fosche. Dalle stelle alle stalle, certo, in pieno! E la risalita, lenta, faticosa; i tentativi per scrollarsi di dosso un fango ormai secco e pesante. 



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Quali tematiche affronti nel libro e quale messaggio vuoi trasmettere? 

 
Rya è una sorta di anti-eroina. Non è la classica fanciulla indifesa ( se talvolta mostra di esserlo, è solo perchè le fa comodo). Forse non nel primo volume, nel quale la mia signorina è ancora avvolta in un bozzolo, ma certo nel secondo comincia a delinearsi il suo carattere, plasmato da un errore gravissimo che si troverà a compiere e del quale dovrà affrontare le conseguenze.
Lei non può dire, come quell’altra, “Domani è un altro giorno”. Deve vivere ora per ora scontando le proprie colpe. E saranno molte.
Le tematiche affrontate… Prima di tutto, il fulcro della vicenda è la famiglia. Una famiglia che Rya, per causa di forza maggiore, ha dovuto abbandonare ma che ugualmente riesce ad essere fisica e presente in modo costante. Quanto vale un legame di sangue? La sorella (così perfetta, così buona, così eccellente) è davvero tale? E Rya, che non vorrebbe altro che somigliarle in tutto, porta su di sé il fardello di questa presenza. Bene e male non sono definiti, come non sono definiti nella vita reale, se ci pensi bene.

Il messaggio che il libro trasmette? Tenete gli occhi aperti, sempre. Cogliete ogni sfumatura, ogni guizzo. E ricordatelo.
Prendo in prestito una frase di Esiodo: Quando tratti con tuo fratello, sii cortese. Ma assicurati di avere un testimone… 

 
Qual è stato l’input per questo romanzo e perché una saga?

L’input è stata la ricerca di evasione da una lezione talmente noiosa da non poter essere seguita! Ero in aula, al primo banco, in prima fila (che fortuna, eh?...) a prendere appunti su qualcosa che sfuggiva assolutamente alla mia capacità e voglia di comprensione. Ho smesso di cercare di capire cosa fosse l’aoristo terzo passivo e perchè il professore insistesse tanto a dire che fosse essenziale nella vita.
È così che è nata la primissima Rya: sui banchi di scuola, tra l’odore del gesso e della grammatica greca.
Per Natale, era una storia compiuta, e l’ho regalata a quella che allora era la mia migliore amica.

Poteva finire così. Poteva rimanere quello che era (un’evasione, un gioco con le parole). Invece, non sono più riuscita a scrollarmela di dosso. Mi era entrata dentro, resistente al più forte degli antibiotici. Aveva messo radici. Allora, ho deciso di vedere quale strada avrebbe preso. Ho iniziato ad annaffiare quella piantina, a parlare con lei, a chiederle perché mai volesse uscire dalla carta e raccontare ancora qualcosa.
Nel frattempo, avevo cominciato a leggere moltissimo e a fare ricerche settoriali circa il periodo storico. Non mi hanno mai abbandonata. È così che, da quell’iniziale racconto, è nata la saga di Rya: ricerche, viaggi, letture che hanno, lentamente, dato corpo e peso e voce a ciò che prima era solo un abbozzo più o meno informe.


Hai qualche altro progetto di cui vuoi metterci a parte? 

 
Sto ultimando gli storyboard per il secondo volume della saga di Rya, che spero possa presto vedere la luce. E sto finendo le ultime ricerche per approfondire alcune curiosità che saranno inserite nel sequel di “Requiem in re minore”.
Combatto col tempo tiranno, con una vita sostanzialmente incasinata -soprattutto in questo periodo- e, tanto per aggiungere insulto a lesione grave, con la connessione internet che mi abbandona.
E… accidenti, mi hai fatto venir voglia di riprendere in mano "Il sasso nello stagno"! Se dovesse trovare una sua strada, sappilo, sarà colpa tua!


E’ stato un grandissimo piacere ospitarti nel mio blog. Sei una persona speciale che ho avuto la fortuna e il piacere di incontrare. In bocca al lupo per tutto!  


(ridacchia con le guance in fiamme… e tu sai perché!! :P) Grazie a te, Linda!! Sei tu la persona speciale, nonché una scrittrice che adoro! E non vedo l’ora di incontrarti ancora… questa volta, per un mega abbraccio!!

Per seguire Barbara   RYA - LA FIGLIA DI TEMARIN

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