martedì 9 luglio 2013

INTERVISTA A ANNA MARIA FUNARI

Ciao Anna, benvenuta nel mio blog. Raccontaci qualcosa di te.

Ciao Linda, grazie per l’ospitalità che mi hai offerto, sei stata davvero gentile. Beh… parlare di me stessa non è esattamente la cosa che mi riesce meglio, ma vediamo di provarci. Ho 52 anni, sono nata a Piacenza ma fieramente di origini marchigiane. Nella vita sono impiegata statale anche se è un vestito che mi va un po’ stretto, ma per carità… non lamentiamoci, considerando le difficoltà in cui versano molte persone che cercano un lavoro. Sono sposata da 11 anni con Claudio, con il quale ci siamo conosciuti in chat nel 2001 e con questo sfatiamo un attimo il luogo comune che la rete è piena solo di pazzi e di maniaci.
Amo leggere, scrivere; adoro viaggiare in moto per il gran senso di libertà che si prova e anche perché ti dà modo di vedere meglio tutto ciò che hai intorno e quando posso mi rifugio volentieri in un agriturismo sulle colline marchigiane, dove il panorama si perde sui Monti Sibillini.
Coltivi passioni che abbracciano i campi più disparati e sostieni che spesso l’ispirazione per i tuoi scritti arriva dalla natura. Approfondiamo questa affermazione.

Si, in effetti ho interessi che alcuni definirebbero “a 360°”; a volte penso di essere più simile a una scheggia impazzita che saltella tra le mille cose che fanno parte della mia vita e che vi si sono installate comodamente come semi nella terra. Non so se questa terra sia buona
o meno, ma tant’è che ognuno di questi semini ogni tanto tira fuori un germoglio.
Come ti dicevo prima, amo molto gli spazi aperti, in particolare la montagna con i suoi piccoli e grandi segreti e sono capace realmente di perdermi col pensiero davanti a un panorama che si apre su vallate e fiumi sovrastati da un cielo azzurro. Credo sia uno degli scenari che amo maggiormente; da nata sotto il segno del Toro sono decisamente “terricola”, ho bisogno di sentire la terra sotto ai piedi anche se non disdegno lasciarmi andare ai sogni.
Tutto ciò che è Natura diventa elemento essenziale degli sfondi delle mie narrazioni, sia pure a volte appena accennati o che siano invece l’ambientazione preponderante.
Sei un’appassionata della cultura degli indiani d’America e la tua musica preferita ancora una volta si concentra sui Nativi d’America. Perché questa particolare predilezione?

Quello per i Nativi americani è uno strano “amore” che affonda le sue radici un po’ lontano nel tempo. Già verso i 10-11 anni guardavo i film western, di cui era appassionato anche mio padre, e regolarmente gli indiani erano i malvagi della situazione, cosa che a quell’età mi lasciava con la classica domanda “Ma perché gli indiani sono sempre i cattivi?”. Domanda che, crescendo, ha instillato un sano dubbio, spingendomi ad andare oltre quelli che erano i luoghi comuni che si erano radicati grazie a una filmografia decisamente “di parte”.
Ho cominciato a leggere moltissimo, da testi a contenuto antropologico, come quello di P.Jacquin, “Storia degli indiani d’America”, fino alle biografie dei grandi Capi come Toro Seduto, Geronimo, Nuvola Rossa, per approdare poi a quelli che, a mio parere, sono le pietre miliari sull’argomento: “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown e “Alce Nero parla” di J. D. Neihardt. Libri che decisamente aprono gli occhi su una storia mai raccontata nella sua completezza.
Nel 1996 poi tutto si completò con un viaggio negli USA che era nato, in realtà, come un’opportunità per andare a conoscere i parenti oltreoceano e che poi invece si è trasformato in una bellissima lezione di vita.
In quell’occasione ho avuto la possibilità di “vivere” più da vicino la storia, la cultura e alcune tradizioni di questo popolo veramente stupendo; parlare con loro e rendermi conto di quanta dignità e fierezza conservino ancora nel cuore e quanto rispetto abbiano per chiunque, nonostante le nefandezze perpetrate ai loro danni e i tentativi di sterminarli messi in atto dai bianchi, non ha fatto altro che completare un quadro che già aveva assunto contorni ben precisi su quello che, a ragione, viene chiamato il “Popolo degli Uomini”.
Dopo il diploma hai svolto parecchie mansioni: impiegata presso uno studio commerciale, Assistente amministrativo presso il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, progettazione e programmazioni di eventi. Com’è nata la tua passione per la scrittura e dove trovi il tempo per dedicartici?

Bella domanda! A volte me lo chiedo anche io, dove trovo il tempo! Diciamo che quella per la scrittura è stata una capacità innata che si è manifestata fin dai tempi della scuola. Ho sempre avuto una fervida immaginazione e, a detta di molti, un buon lessico che, uniti a una naturale propensione per le materie letterarie, ha fatto sì che questa materia non mi desse preoccupazioni. Cosa che invece non è mai accaduta con i numeri con i quali ci rispettiamo vicendevolmente ma è indubbio che i nostri sentieri corrono in direzioni opposte. Siamo proprio due mondi differenti, con lo zero assoluto in comune. Purtroppo c’è stata la scelta sbagliata di diplomarmi in Ragioneria, scelta più dettata dalle circostanze che non dalla convinzione.
L’importante è stato comunque non accantonare quella che era l’inclinazione che avevo per la scrittura e, anzi, osare ogni volta qualcosina in più. Come i concorsi letterari; non tanto per il risultato in se stesso quanto per cercare di capire se quel che scrivevo riusciva a suscitare emozioni, sensazioni. Volevo vedere se ero capace di arrivare al cuore di chi leggeva.
Poi, per tutto questo, il tempo si cerca di trovarlo. Alla fine basta organizzarsi un po’. Se poi hai pure vicino una persona che ti incoraggia e si fa carico di alcune incombenze nel momento magico dell’ispirazione è ancora meglio. E devo dire che, anche in questo, sono stata molto fortunata.
Dal 1997 collabori saltuariamente con il periodico del litorale laziale “L’Ortica”, con la rivista del M.A.S.C.I. “Strade Aperte” – rubrica Vita del Movimento e recentemente hai collaborato anche con il periodico online “Roma Capitale Magazine”. Cosa ricordi di queste esperienze?

Esperienze tutte concluse, per un motivo o per l’altro, ma che hanno lasciato comunque un segno positivo. In alcuni casi si sono chiuse per un arroccamento di entrambe le parti su posizioni opposte. D’altro canto, non nego di essere una persona a cui non piacciono né i compromessi, né tantomeno le imposizioni, i ricattucci morali o le minacce del tipo “o così o non ti pubblico più”. Bene, preferisco non pubblicare piuttosto che vedere i miei pezzi stravolti o in qualche modo fatti diventare mezzo pubblicitario.
Al momento, saltuariamente scrivo per “Il gusto italiano”, che tratta anche materie molto vicine a quelle del Ministero dove lavoro e con piacere scrivo articoli e recensioni là dove mi viene chiesto. Sono del parere che ogni esperienza è arricchente, soprattutto per chi ama scrivere.
Nel 2011 hai curato, insieme ad Alba Gnazi, la prima edizione di “Nuovi Autori nel Cuore di Roma”, iniziativa a sostegno della lettura e degli autori emergenti del panorama letterario nazionale. Parlacene.

“Nuovi Autori nel Cuore di Roma” è nato un po’ per caso, un po’ per gioco dopo una presentazione fatta a Palazzo Valentini dei nostri libri. Per una serie di coincidenze cominciammo a creare questa iniziativa per gli altri autori partendo dall’idea di fare delle presentazioni mensili. Una volta contattati gli autori è stato poi tutto un crescendo, presentazione dopo presentazione.
Abbiamo avuto la fortuna anche di poter usufruire di due locations di una certa levatura: la terrazza del Vittoriano in estate e la Sala Cavour del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali nei mesi più freddi.
L’esperienza ha dato indubbiamente buoni risultati, sotto ogni punto di vista; il confronto con altri autori, leggere le loro opere, il rapportare i loro stili e i loro contenuti anche al nostro modo di scrivere è stato arricchente, ha ampliato decisamente un orizzonte che per chi scrive non dovrebbe mai limitarsi alla propria tecnica.
Nel 2012 avevamo dato il via alla seconda edizione, ampliando l’iniziativa anche agli esordienti del settore cinematografico, ma problemi di natura istituzionale hanno impedito di arrivare fino alla fine. Vediamo cosa potremo fare in futuro per riprendere l’iniziativa.
E nel 2013 entri a far parte della Giuria del Concorso Letterario Nazionale ”Memorial Miriam Sermoneta” per la sezione narrativa. C’è un ricordo legato a questo concorso che porti sempre con te?

Miriam era una guardia giurata, una delle prime amicizie fatte in Facebook. La ricordo come una ragazza piena di vita, solare, molto dedita anche ad alleviare le sofferenze dei bambini dell’Ospedale Pediatrico “Bambin Gesù” per i quali organizzava l’Epifania, raccogliendo e portando loro dei regali. Di lei mi resta il ricordo delle chiacchierate fatte in chat, da cui emergeva anche una grande solitudine. Ma mai le mancava la battuta o il sorriso.
Si è uccisa nel 2012, proprio per il peso che sentiva gravarle sull’anima per i tanti problemi familiari e quotidiani che sono stati più forti della sua stessa forza di vivere.
Quando Giovanni Gentile, ideatore del concorso, mi ha proposto di far parte della giuria per la sezione narrativa, non ci ho pensato due volte ad accettare; quel concorso era un bel modo per tenere vivo il ricordo di Miriam e renderle omaggio. E ora, siamo quasi pronti a partire con la seconda edizione.
Passiamo ai tuoi traguardi letterari. Dal 1997 al 2008 partecipi a molti concorsi che ti valgono parecchi riconoscimenti. In particolare il racconto “La casa di cartone” per la qualità e il valore artistico-umanitario dell’opera. Di cosa si tratta?

La casa di cartone” è la storia di un uomo, Federico, alla costante ricerca di qualcosa che neppure lui sa. Ambizioso, arrivista e a tratti cinico, è l’apposto di Urbano, il coprotagonista; Urbano è un barbone, un clochard che ha scelto di vivere in quel modo. Ma nella sua umiltà, nella sua povertà, è anche una lezione di dignità e umanità per il cuore di Federico, indurito dalla vita e dal suo stesso egoismo.
E gli altri personaggi che fanno parte della storia non sono certo di minor rilievo rispetto a questi due, ma agiscono in maniera diversa nella trama della storia che, non a caso, è ambientata ad Assisi nel periodo del terremoto.
Dal 2005 al 2012 realizzi otto pubblicazioni tra romanzi brevi e racconti, inseriti in varie antologie. E nel 2010 nasce il tuo primo romanzo edito “L’isola dei graziati”edito da Linee Infinite Edizioni. Parlacene.
 
L’idea de “L’isola dei graziati” è in realtà il frutto di un’accesa discussione tra amici in merito alla pena di morte, quando negli USA c’era stato un caso eclatante di errore giudiziario a causa del quale era stato giustiziato un innocente.Questa quindi è stata la miccia che ha acceso l’intuizione che, a sua volta, è“esplosa” dando vita a questo spy-story e mettendo a dura prova anche la mia pazienza.
Dietro a questo romanzo infatti c’è stato un lungo, lunghissimo lavoro di ricerca in merito sia alla pena di morte sia alla tipologia di personaggi che meglio potevano muoversi all’interno della trama complicata, sia infine per la ricerca di un’area completamente disabitata dove collocare la mia isola.
Il protagonista è un giornalista, Brian McGray che, come diremmo oggi, è caduto dalle stelle alle stalle. Non per incapacità anzi, tutt’altro. Brian è troppo capace, troppo testardo, troppo sicuro, troppo onesto, troppo coerente. Insomma è “troppo” di tutto. E la vita, anche nella realtà, non è facile per chi è come lui.
Per una serie di vicende, entra in contatto con un uomo che gli regala uno strano oggetto che Brian è certo di aver già visto, ma non ricorda dove e quando.
E’ scontato che un giornalista come lui, un po’ incosciente e un po’ d’assalto, non lasci cadere la cosa e cominci a indagare. Anche in questo caso, il suo essere troppo curioso lo conduce su strade non proprio sicure e, dopo una serie di peripezie, arriverà ad una verità realmente inimmaginabile.
Nel 2012 pubblichi il tuo secondo romanzo “Fuoco Che Danza –Pi’ta Naku Owaci” edito dalla Montecovello Edizioni. Cosa troveranno i lettori al suo interno?

“Fuoco Che Danza” è stato in assoluto il primo romanzo che ho scritto e nasce direttamente dall’esperienza fatta negli USA e di cui ti ho parlato prima. Cosa troveranno i lettori? Difficile dirlo perché è un libro che può essere letto già dai 9-10 anni e ad ogni età ci si trovano cose diverse. Dalla bella favola senza principesse, draghi e cavalieri fino all’esperienza di un’evoluzione di vita che va oltre i canoni stereotipati che ci chiede la società di cui facciamo parte.
A portarci per mano nel suo mondo è Shawnee Lee Jackson, un giovane avvocato Sioux di grandi capacità professionali ma soprattutto di grandi principi morali, legato al suo mondo, alle sue radici, fiero del suo modo di essere.
Ma come tutti coloro che vivono il nostro tempo, è messo di fronte a una scelta il cui prezzo è molto alto e ricorrerà alle tradizioni del suo mondo per trovare la via verso il suo destino.




Com’è nata l’idea per“Fuoco che danza”?

In origine è stato una specie di “diario” di quello che è stata la mia evoluzione dopo il soggiorno americano, trasposto su un personaggio. Una sorta di “pozzo” a cui attingere ogni volta che ne sentivo il bisogno.
Poi si è evoluto, leggermente modificato; alcuni personaggi sono stati delineati meglio per accentuare di più il percorso interiore del protagonista in funzione dell’idea di una trilogia che percorra, in modo leggero e non noioso, la loro cultura, le loro storie e le loro tradizioni; senza la pretesa di essere un “saggio” sui Nativi.
La trilogia li narra con semplicità, in un modo che spero sia piacevole per i lettori e che, soprattutto, allontani almeno un po’ l’idea che generalmente si ha, o si aveva, di loro. Raccontare il Cerchio della Vita: ecco cosa si propone la trilogia di “Fuoco Che Danza”.
Il titolo è singolare, cosa rappresenta ‘Pi’ta Naku Owaci’?

Pi’ta Naku Owaci” è la traduzione in Lakota (uno dei ceppi linguistici Sioux) di “Fuoco Che Danza”.All’interno del libro ci sono altre piccole espressioni nella lingua nativa che possono avvicinare il lettore a questo popolo un po’ magico. Naturalmente a pie’ pagina ci sono le traduzioni e, in alcuni casi, le spiegazioni del significato di certe espressioni.
Tra l’altro, non conoscendo questa lingua, ho avuto anche la fortuna di conoscere in Facebook Stefano Bruni, che si è occupato sia delle traduzioni che della realizzazione dell’immagine di copertina.
Tra le svariate attività ti occupi anche di organizzare eventi per emergenti, presentazioni nello specifico. Di cosa ti occupi e come ci si può mettere in contatto con te?

Mi diverte moltissimo organizzare eventi come, per l’appunto, le presentazioni degli autori emergenti. Sono un po’ multifunzione in questa attività; mi occupo di tutto ciò che è legato all’evento, come trovare la location, realizzare le locandine, fare da relatore se l’autore lo desidera.
A breve, ad esempio, presenterò a Roma il libro di Angelo Iannelli, “L’io diviso”, pubblicato da Aracne Editore
Inoltre posso darti un’anticipazione che è ancora in divenire: con la responsabile della Biblioteca Comunale di Cerveteri stiamo pensando ad una serie di presentazioni dedicate ad autori emergenti. Chi fosse interessato, può mettersi in contatto con me attraverso Facebook (nel profilo, sotto al mio nome, compare “Cuore di Lupo”) oppure per mail scrivendo a
shawnee.lee1961@gmail.com
Progetti di cui vuoi metterci a parte?

Progetti ce ne sono tantissimi. Al momento sto terminando la trilogia di cui ti parlavo, poi mi è balenata per la testa un’idea per un archeo-thriller ambientato nella mia terra, le Marche. Ci sono poi due raccolte, una di romanzi brevi e una di racconti, che devo revisionare.
Poi c’è la seconda edizione del “Memorial Miriam Sermoneta”, qualche concorso a cui vorrei partecipare, le presentazioni e ovviamente il lavoro.
Diciamo che di idee ce ne sono a sufficienza per un anno, senza dimenticare quella di riprendere “Nuovi Autori nel Cuore di Roma”, se si verificassero le condizioni favorevoli.
E’ stato un piacere ospitarti nel mio blog, sei una persona poliedrica e interessante. In bocca al lupo per tutto.

Grazie nuovamente a te per il tempo e lo spazio che mi hai dedicato e, come dico sempre io… EVVIVA IL LUPO! Che crepino i cacciatori, i cattivi, gli invidiosi e i portasfiga.
Su questo mi trovi perfettamente in sintonia!

Per seguire Anna   ANNA MARIA FUNARI AUTRICE

 

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